Da qualche parte lì, tra le montagne della provincia di Jeonnam, nel sud della Corea, si trova uno dei più importanti e famosi templi dell’ordine buddista Jogye: ci riferiamo al 백양사 (Baekyangsa) ed è proprio qui che inizia il viaggio della nostra protagonista.
Nata nel 1956 a Yeongju, nella provincia di Gyeongsang, Jeong Kwan, quinta di sette figli e da sempre cresciuta nella fattoria di famiglia, all’età di 17 anni scappa da casa per andare a vivere con le suore Zen nell’eremo di Chunjinam: proprio la sua natura “campagnola” e la vita del tempio saranno la combinazione perfetta perché lei trovi il suo obiettivo nella vita, infatti inizierà la sua carriera da chef dapprima come semplice cuoca per i monaci e i visitatori del tempio.
Picture and copyright by Véronique Hoegger
Picture and copyright by Cultural Corps of Korean Buddhism
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Tuttavia, presto la voce circa le sue abilità culinarie si spargerà, fintantoché nel 2015, lo chef Éric Ripert la inviterà a cucinare a New York per alcuni ospiti appositamente selezionati, e nel 2017 apparirà in una puntata di Chef’s table, una serie di documentari prodotti da Netflix che si concentra, in ogni episodio, sulla vita, le abitudini e i segreti dei più famosi chef del mondo.
Jeong Kwan ha ricevuto il premio come una dei più prestigiosi chef asiatici, l’Asia’s 50 Best Restaurant Icon Award.
Cos’è che rende così diversa Jeong Kwan dagli altri chef?
La cucina di Jeong Kwan è una cucina spirituale, infatti nascendo come cuoca per i monaci del tempio e come suora zen, anche i suoi piatti sono intrisi della filosofia di vita che ha deciso di abbracciare da giovanissima. Di cosa parliamo?
Parliamo della cucina templare buddista, una cucina quasi totalmente vegana (non sono ammessi prodotti animali, al di fuori di alcuni latticini) e prodotti dal forte odore, come aglio, erba cipollina, cipolla, scalogno e simili perché possono interferire con la corretta meditazione: se non lo sapevate, per i buddisti mangiare è una forma di preghiera vera e propria, quindi ogni singola pietanza viene cucinata e ideata cercando di esaltare la connessione corpo-mente-spirito.
La cucina templare buddista è una tipologia di cucina che ha alla base l’obiettivo di esaltare, tramite le giuste combinazioni, le materie prime che si possono recuperare dall’orto presente nei templi.
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Ma perché parliamo di questa chef?
Perché, proprio in questi giorni, Jeong Kwan è in Italia per partecipare ad una serie di eventi organizzati da chef, scuole di cucina e dall’Istituto Culturale Coreano di Roma: non è la prima volta che la chef approda sul territorio italiano, infatti era già stata qui nel 2019, sempre ospite dell’Istituto Culturale Coreano.
Mondo coreano è stato invitato a partecipare ad una di queste lezioni aperte alla stampa per avere un’occasione per conoscere questa grande chef e scoprire di più delle tradizioni coreane e buddiste. Siete pronti a saperne di più?
A cura di Bianca Cannarella e Rachel Sonnino.
Grafica di copertina originale di Mondo coreano, foto e copyright di Véronique Hoegger.
Appassionata di tutto ciò che riguarda la Corea del Sud, nel Novembre del 2020 ho fondato Mondo Coreano. Amante dei K-Drama, della musica (anche in questo caso, coreana), passo la maggior parte del mio tempo libero a creare e sperimentare nuove cose per la Community!
Questo weekend, come avete ben potuto vedere e seguire dalle storie Instagram, siamo state a Firenze per il Florence Korea Film Fest. Che cos’è?
Il Florence Korea Film Fest è un festival del cinema coreano organizzato nella città di Firenze dal 2003 dall’Associazione culturale Taegukgi, ideato con lo scopo di promuovere la cultura cinematografica e artistica coreana in Italia, non solo tramite la proiezione di film, documentari e cortometraggi ma anche tramite incontri con gli autori stessi.
Inoltre, dal 2007, il FKFF si prodiga per l’esportazione del cinema italiano in Corea del sud, collaborando con il JIFF – Jeonju International Film Festival e il BIFF – Busan International Film Festival: proprio in ragione di ciò, in sala era presente tra gli ospiti d’onore il direttore del BIFF!
Come redazione, appena abbiamo saputo di questo evento, ci siamo mobilitate sin dall’inizio affinché potessimo partecipare, richiamate da questo filo conduttore tra l’Italia e la Corea, che è un po’ il nostro stesso leitmotiv e obiettivo.
Ospite d’eccezione, tra i tanti grandissimi attori e registi presenti nelle varie giornate, c’era Lee Jung Jae, ormai sulla bocca di tutti e su tutte le copertine e red carpet a seguito del successo planetario della serie Squid Game: un attore e persona disponibile, molto sorridente e aperto al dialogo con il quale abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere durante la permanenza al Festival!
Lee Jung Jae è stato presente in sala in due diverse occasioni, la prima venerdì sera a seguito della proiezione del film che lo vede nel ruolo di co-protagonista, Deliver us from evil, a seguito del quale ha risposto ad alcune domande del pubblico, e la seconda volta alla masterclass di sabato mattina, durante la quale ha dispensato consigli, opinioni e ha risposto a tantissime domande, dimostrandosi molto umile e alla mano.
Deliver us from evil – 다만 악에서 구하소서
Deliver us from evil è un film d’azione del 2020 diretto dal regista Hong Won-Chan: il film è ambientato in Thailandia e narra le vicende di un ex agente segreto, diventato un mercenario, il quale partirà alla ricerca disperata di una persona a lui cara che è stata rapita, purtroppo, però, questo rapimento si intreccerà con il cammino di un efferato e violento criminale con il quale il protagonista ha un conto in sospeso.
Il nostro Lee Jung Jae riveste il ruolo dell’antagonista – un cattivo cattivissimo – che darà non poco filo da torcere al protagonista, interpretato da Hwang Jung-min: se vi aspettate di trovare il genuino Gi-Hun di Squid Game vi sbagliate di grosso, perché in questo lungometraggio vedrete il “lato oscuro” di Lee Jung Jae, infatti darà caratterizzazione ad un personaggio spietato, determinato a raggiungere i propri obiettivi criminali.
Il film sicuramente non è adatto ai deboli di cuore e ai soggetti facilmente impressionabili, c’è tanto sangue e tanta violenza, ma se vi piace il genere e volete vedere un po’ di azione a regola d’arte, è il film che fa per voi.
Masterclass con Lee Jung Jae
Sabato mattina, invece, alla presenza di una platea gremita – e probabilmente sold-out – si è tenuta la Masterclass che vedeva come ospiti Lee Jung Jae e il regista di Squid Game, Hwang Dong-hyuk, un’occasione per ripercorrere le carriere dei due artisti, per scoprire i segreti nascosti dietro il loro successo e avere un momento di confronto e unione: seppure il regista non abbia potuto partecipare e abbia dovuto lasciare il Festival prima del previsto, l’intento di questo incontro è comunque riuscito, dando luogo ad una splendida chiacchierata “tra amici“, dal tenore sereno e piacevole.
L’intera masterclass è stata concentrata sulla fama internazionale dell’attore, fama che non nasce con Squid Game ma molti anni addietro, infatti già dagli anni ’90 Lee Jung Jae è diventato tra i maggiori e più famosi artisti dell’industria cinematografica e televisiva coreana, grazie anche ad opere d’arte della televisione come The young man e Sandglass, serie tv che l’hanno consacrato sull’altare dei big dello schermo, ma anche e soprattutto il film City of the rising sun (태양은 없다) del 1998.
Tra le questioni più interessanti trattate durante l’incontro c’è sicuramente l’attenzione dell’industria cinematografica e televisiva coreana nei confronti delle differenze sociali e della narrazione di queste ultime, infatti non è raro vedere nei K-drama e K-movies scorci di vita quotidiana dei coreani di tutte le classi sociali, raccontate in modo onesto, crudo e imparziale: questa è una scelta che, ai nostri occhi, appare quasi curiosa, in quanto molto lontana dal nostro modo di raccontare, per esempio, le periferie – spesso eccessivamente romanzate o criticate aspramente senza troppe possibilità di trovare un compromesso – .
La scelta delle differenze sociali, a dire di Lee Jung Jae, non è affatto una scelta casuale ma, tutt’al più, è un modo per esorcizzare la paura, uno spunto di riflessione per rendersi conto che quelle sfortune, quei crolli, quelle crisi possono accadere a chiunque, in qualunque momento e proprio per questo motivo, come società, dobbiamo impegnarci tutti affinché si possa costruire un mondo più a portata di tutti, cercando di ridurre al minimo queste possibilità di esclusione sociale, di ghettizzazione e di allontanamento dalla “vita normale”: in quest’ottica può essere rivisto anche lo stesso Squid Game, infatti, non deve essere inteso come un gioco al massacro fine a se stesso quanto piuttosto deve essere analizzato come la più lampante manifestazione del bisogno reciproco che abbiamo tutti della presenza e dell’aiuto altrui.
“Proviamo a pensare di più al prossimo come leitmotiv di Squid Game.”
Lee Jung Jae
Strettamente collegata alla questione delle differenze sociali troviamo anche la narrazione della violenza, talvolta portata all’estremo nei K-drama, e anche in questo caso deve essere vista da una prospettiva differente, perché, sempre secondo l’attore, la violenza narrata non è mai fine a se stessa, non è “violenza per la violenza“, bensì è un modo per realizzare l’esistenza di un problema, primo passo per comprenderlo e capire come risolverlo: quindi, anche qui, occorre un’analisi sociale molto più profonda che non può fermarsi alla banale violenza fisica mostrata sullo schermo ma che presuppone un’attenzione particolare alla pressione sociale dei genitori, della società, dei social media nei confronti di ogni individuo.
All’attore è stato, poi, chiesto come costruisse i suoi personaggi, quale fosse lo studio affrontato per poter creare nei minimi dettagli la psicologia dei soggetti che interpreta, cosa li rende così speciali e diversi e unici gli uni dagli altri. Sapete il suo segreto?
Osservare le persone comuni, andare in giro per la città ma, soprattutto, tanto allenamento fisico! Perché? Perché “faticare e sudare fa avere nuove idee”!
Al termine della Masterclass, l’attore si è reso disponibile per fare una breve sessione di autografi, confermando il suo animo gentile e disponibile ma anche il suo amore per i fan italiani.
A song for my dear – 그대어이가리
E se due giorni non erano sufficienti, domenica non abbiamo potuto proprio farne a meno e siamo tornate nuovamente al cinema per un’altra proiezione: questa volta, però, abbiamo visto un film drammatico. Di quale parliamo?
Abbiamo assistito alla proiezione di A song for my dear, film indipendente del 2021 diretto dal regista Lee Chang-Yeoul, che narra la triste vicenda di una coppia sposata da tanti anni e che vive la propria esistenza con i soliti alti e bassi, fin quando un fulmine non piomba sulle loro teste, perché alla moglie viene diagnosticata una grave forma di Alzheimer e al marito toccherà prendersi cura di lei, fin quando gli sarà possibile, assistendo al lento e doloroso degenero della malattia e delle condizioni dell’amore della sua vita.
Si tratta di un film molto profondo ed emozionante, l’intera sala era in lacrime e non mancano di certo gli spunti di riflessione.
A rendere il tutto ancora più emozionante è stata la presenza degli attori e del regista in sala durante la proiezione, i quali hanno ringraziato il pubblico per aver assistito al loro lavoro e hanno esternato il loro amore per l’Italia e per il Florence Korea Film Fest.
Opinioni complessive sul Festival
Che peccato averne scoperto l’esistenza solo quest’anno!
Un’esperienza unica nel suo genere, è stato entusiasmante vedere così tanti appassionati alla Corea del Sud, italiani e non: è un festival ben organizzato, con una programmazione interessante, fresca e colma di occasioni per poter scoprire nuovi attori, registi e pellicole magari meno note al vasto pubblico.
Vedere che, finalmente, l’Italia sta iniziando ad aprirsi alla Corea del Sud, stringendo rapporti sempre più stretti, è un piacere per chi ama entrambi i paesi e spera in una maggiore vicinanza e connessione tra le due nazioni: che l’arte diventi il ponte che unisce Occidente e Oriente?
Nel dubbio, noi sappiamo già che il prossimo anno saremo nuovamente in prima fila! Verrete con noi?
Eterna Sagittario, è capitata in questo mondo per sbaglio e non ne è più uscita, riscoprendo se stessa e ciò che la circonda. Un giorno sì e l’altro pure sogna di scappare in Corea: probabilmente lo farà molto presto. Il suo motto preferito è: 시작이 반이다, “l’inizio è la metà”.