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FKFF: la nostra esperienza

Questo weekend, come avete ben potuto vedere e seguire dalle storie Instagram, siamo state a Firenze per il Florence Korea Film Fest. Che cos’è?

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Il Florence Korea Film Fest è un festival del cinema coreano organizzato nella città di Firenze dal 2003 dall’Associazione culturale Taegukgi, ideato con lo scopo di promuovere la cultura cinematografica e artistica coreana in Italia, non solo tramite la proiezione di film, documentari e cortometraggi ma anche tramite incontri con gli autori stessi.

Inoltre, dal 2007, il FKFF si prodiga per l’esportazione del cinema italiano in Corea del sud, collaborando con il JIFF – Jeonju International Film Festival e il BIFF – Busan International Film Festival: proprio in ragione di ciò, in sala era presente tra gli ospiti d’onore il direttore del BIFF!

Come redazione, appena abbiamo saputo di questo evento, ci siamo mobilitate sin dall’inizio affinché potessimo partecipare, richiamate da questo filo conduttore tra l’Italia e la Corea, che è un po’ il nostro stesso leitmotiv e obiettivo.

Ospite d’eccezione, tra i tanti grandissimi attori e registi presenti nelle varie giornate, c’era Lee Jung Jae, ormai sulla bocca di tutti e su tutte le copertine e red carpet a seguito del successo planetario della serie Squid Game: un attore e persona disponibile, molto sorridente e aperto al dialogo con il quale abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere durante la permanenza al Festival!

Lee Jung Jae è stato presente in sala in due diverse occasioni, la prima venerdì sera a seguito della proiezione del film che lo vede nel ruolo di co-protagonista, Deliver us from evil, a seguito del quale ha risposto ad alcune domande del pubblico, e la seconda volta alla masterclass di sabato mattina, durante la quale ha dispensato consigli, opinioni e ha risposto a tantissime domande, dimostrandosi molto umile e alla mano.

Deliver us from evil – 다만 악에서 구하소서

Deliver us from evil è un film d’azione del 2020 diretto dal regista Hong Won-Chan: il film è ambientato in Thailandia e narra le vicende di un ex agente segreto, diventato un mercenario, il quale partirà alla ricerca disperata di una persona a lui cara che è stata rapita, purtroppo, però, questo rapimento si intreccerà con il cammino di un efferato e violento criminale con il quale il protagonista ha un conto in sospeso.

Il nostro Lee Jung Jae riveste il ruolo dell’antagonista – un cattivo cattivissimo – che darà non poco filo da torcere al protagonista, interpretato da Hwang Jung-min: se vi aspettate di trovare il genuino Gi-Hun di Squid Game vi sbagliate di grosso, perché in questo lungometraggio vedrete il “lato oscuro” di Lee Jung Jae, infatti darà caratterizzazione ad un personaggio spietato, determinato a raggiungere i propri obiettivi criminali.

Il film sicuramente non è adatto ai deboli di cuore e ai soggetti facilmente impressionabili, c’è tanto sangue e tanta violenza, ma se vi piace il genere e volete vedere un po’ di azione a regola d’arte, è il film che fa per voi.

Masterclass con Lee Jung Jae

Sabato mattina, invece, alla presenza di una platea gremita – e probabilmente sold-out – si è tenuta la Masterclass che vedeva come ospiti Lee Jung Jae e il regista di Squid Game, Hwang Dong-hyuk, un’occasione per ripercorrere le carriere dei due artisti, per scoprire i segreti nascosti dietro il loro successo e avere un momento di confronto e unione: seppure il regista non abbia potuto partecipare e abbia dovuto lasciare il Festival prima del previsto, l’intento di questo incontro è comunque riuscito, dando luogo ad una splendida chiacchierata “tra amici“, dal tenore sereno e piacevole.

L’intera masterclass è stata concentrata sulla fama internazionale dell’attore, fama che non nasce con Squid Game ma molti anni addietro, infatti già dagli anni ’90 Lee Jung Jae è diventato tra i maggiori e più famosi artisti dell’industria cinematografica e televisiva coreana, grazie anche ad opere d’arte della televisione come The young man e Sandglass, serie tv che l’hanno consacrato sull’altare dei big dello schermo, ma anche e soprattutto il film City of the rising sun (태양은 없다) del 1998.

Tra le questioni più interessanti trattate durante l’incontro c’è sicuramente l’attenzione dell’industria cinematografica e televisiva coreana nei confronti delle differenze sociali e della narrazione di queste ultime, infatti non è raro vedere nei K-drama e K-movies scorci di vita quotidiana dei coreani di tutte le classi sociali, raccontate in modo onesto, crudo e imparziale: questa è una scelta che, ai nostri occhi, appare quasi curiosa, in quanto molto lontana dal nostro modo di raccontare, per esempio, le periferie – spesso eccessivamente romanzate o criticate aspramente senza troppe possibilità di trovare un compromesso – .

La scelta delle differenze sociali, a dire di Lee Jung Jae, non è affatto una scelta casuale ma, tutt’al più, è un modo per esorcizzare la paura, uno spunto di riflessione per rendersi conto che quelle sfortune, quei crolli, quelle crisi possono accadere a chiunque, in qualunque momento e proprio per questo motivo, come società, dobbiamo impegnarci tutti affinché si possa costruire un mondo più a portata di tutti, cercando di ridurre al minimo queste possibilità di esclusione sociale, di ghettizzazione e di allontanamento dalla “vita normale”: in quest’ottica può essere rivisto anche lo stesso Squid Game, infatti, non deve essere inteso come un gioco al massacro fine a se stesso quanto piuttosto deve essere analizzato come la più lampante manifestazione del bisogno reciproco che abbiamo tutti della presenza e dell’aiuto altrui.

“Proviamo a pensare di più al prossimo come leitmotiv di Squid Game.”

Lee Jung Jae

Strettamente collegata alla questione delle differenze sociali troviamo anche la narrazione della violenza, talvolta portata all’estremo nei K-drama, e anche in questo caso deve essere vista da una prospettiva differente, perché, sempre secondo l’attore, la violenza narrata non è mai fine a se stessa, non è “violenza per la violenza“, bensì è un modo per realizzare l’esistenza di un problema, primo passo per comprenderlo e capire come risolverlo: quindi, anche qui, occorre un’analisi sociale molto più profonda che non può fermarsi alla banale violenza fisica mostrata sullo schermo ma che presuppone un’attenzione particolare alla pressione sociale dei genitori, della società, dei social media nei confronti di ogni individuo.

All’attore è stato, poi, chiesto come costruisse i suoi personaggi, quale fosse lo studio affrontato per poter creare nei minimi dettagli la psicologia dei soggetti che interpreta, cosa li rende così speciali e diversi e unici gli uni dagli altri. Sapete il suo segreto?

Osservare le persone comuni, andare in giro per la città ma, soprattutto, tanto allenamento fisico! Perché? Perché “faticare e sudare fa avere nuove idee”!

Al termine della Masterclass, l’attore si è reso disponibile per fare una breve sessione di autografi, confermando il suo animo gentile e disponibile ma anche il suo amore per i fan italiani.

A song for my dear – 그대어이가리

E se due giorni non erano sufficienti, domenica non abbiamo potuto proprio farne a meno e siamo tornate nuovamente al cinema per un’altra proiezione: questa volta, però, abbiamo visto un film drammatico. Di quale parliamo?

Abbiamo assistito alla proiezione di A song for my dear, film indipendente del 2021 diretto dal regista Lee Chang-Yeoul, che narra la triste vicenda di una coppia sposata da tanti anni e che vive la propria esistenza con i soliti alti e bassi, fin quando un fulmine non piomba sulle loro teste, perché alla moglie viene diagnosticata una grave forma di Alzheimer e al marito toccherà prendersi cura di lei, fin quando gli sarà possibile, assistendo al lento e doloroso degenero della malattia e delle condizioni dell’amore della sua vita.

Si tratta di un film molto profondo ed emozionante, l’intera sala era in lacrime e non mancano di certo gli spunti di riflessione.

A rendere il tutto ancora più emozionante è stata la presenza degli attori e del regista in sala durante la proiezione, i quali hanno ringraziato il pubblico per aver assistito al loro lavoro e hanno esternato il loro amore per l’Italia e per il Florence Korea Film Fest.

Opinioni complessive sul Festival

Che peccato averne scoperto l’esistenza solo quest’anno!

Un’esperienza unica nel suo genere, è stato entusiasmante vedere così tanti appassionati alla Corea del Sud, italiani e non: è un festival ben organizzato, con una programmazione interessante, fresca e colma di occasioni per poter scoprire nuovi attori, registi e pellicole magari meno note al vasto pubblico.

Vedere che, finalmente, l’Italia sta iniziando ad aprirsi alla Corea del Sud, stringendo rapporti sempre più stretti, è un piacere per chi ama entrambi i paesi e spera in una maggiore vicinanza e connessione tra le due nazioni: che l’arte diventi il ponte che unisce Occidente e Oriente?

Nel dubbio, noi sappiamo già che il prossimo anno saremo nuovamente in prima fila! Verrete con noi?

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La “Squid Game mania” e i giochi della tradizione coreana

Il successo della serie

Quante volte abbiamo sentito parlare di Squid Game in questi mesi?

Sembra quasi impossibile questa serie Netflix sia stata rilasciata soltanto lo scorso 17 settembre, eppure eccoci qui a parlare nuovamente di questo fenomeno che, a poco più di due mesi dalla sua uscita, è ormai diventato un vero e proprio trionfo globale. Era partita col raggiungere la prima posizione nelle classifiche dei contenuti più visti nei Paesi di tutto il mondo, e ora non si può far a meno che parlare di uno dei più grandi successi della tv in streaming degli ultimi anni, contando 132 milioni di spettatori nel suo primo mese d’uscita!

Ne abbiamo sentito parlare un po’ ovunque: per la prima volta, non solo i siti dedicati e gli account coreani parlavano di un “K-drama”, ma ci siamo ritrovati in pochissimo tempo a discuterne in radio, nei programmi e telegiornali nazionali, leggerne sui giornali, i social letteralmente invasi da video e contenuti ispirati alla serie coreana, da challenge di TikTok a youtuber intenti a ricreare i famigerati giochi nella vita reale.

Follia? Forse, ma Squid Game ha davvero cavalcato l’onda di un successo che nessuno avrebbe potuto immaginare, nemmeno lo stesso creatore che si è ritrovato a confermare la realizzazione di una seconda stagione che nemmeno era stata pensata, e che in quest’ultima intervista aveva già fatto notare (rivolto a tutti gli spettatori e ai fan della serie), che insieme al team di produzione la faranno “quasi come se non ci lasciaste scelta!

“C’è stata talmente tanta pressione, tanta richiesta, così tanto amore per una seconda stagione. Mi sento quasi come se non ci lasciaste scelta!”

Hwang Dong-Hyuk – creatore

Ma oltre a tutto questo meritato successo, la serie è stata anche oggetto di molte controversie: molti gli adulti (soprattutto genitori) che l’hanno ritenuta inappropriata e diseducativa dopo aver visto come anche i propri figli ne parlassero assiduamente, molte le polemiche online che hanno portato alla formazione di campagne volte alla cancellazione della serie, ovviamente con ben poche speranze di riuscita, ma dimostrazione di un malcontento forse dovuto ad una spaventosa diffusione mediatica che ha permesso a tutti (e si, anche ai più piccoli) di entrare a conoscenza e vedere con i loro occhi i violenti giochi.

I famosi “livelli” della sfida della serie, infatti, non sono altro che 6 giochi appartenenti alla tradizione coreana e che tutti i bambini del Paese (soprattutto quelli appartenenti alle vecchie generazioni) si sono ritrovati a giocare almeno una volta nella vita, tra cui alcuni come “Un, due, tre, stella” e il tiro alla fune fanno parte anche della nostra cultura.

Ed ecco che possiamo passare a scoprire uno ad uno i giochi che ci hanno accompagnato dal primo all’ultimo episodio e che rendono tanto speciale questa serie Netflix made in Corea del Sud.

I giochi di Squid Game

Ddakji (딱지)

Iranian games similar to those featured in 'Squid Game' :: KOREA.NET Mobile  Site
Gli attori Gong Yoo e Lee Jung-jae in una scena di Squid Game

Il ddakji è un gioco tradizionale coreano che si gioca con dei semplici fogli di carta. Oltre ad essere un gioco popolarissimo tra i bambini, insegna loro anche i principi e le tecniche base degli origami: per giocare infatti, bisogna piegare dei fogli di carta quadrata fino ad ottenere una tessera dalla forma ben precisa. Qui sotto trovate un video con tutti i passaggi:

Video tutorial di YouTube “How to make Ddakji”

Una volta ottenute queste tessere di carta (è raccomandabile preparare più ddakji visto che ad ogni vittoria il giocatore si appropria di quelli avversari), lo scopo del gioco è quello di capovolgere quella dello sfidante lanciando il proprio ddakji in direzione della medesima: se con un solo colpo il ddakji avversario si capovolge, allora si vince il turno.
Vincerà il gioco chi riuscirà a rubare per primo tutti i ddakji dell’opponente. 

Per quanto semplice, questo è un gioco che appassiona da anni i più piccoli in Corea e che può essere adattato a quanti giocatori si preferisce, con regole che variano a seconda delle preferenze del gruppo. Provateci anche voi!

Curiosità: sapevate che la fermata della metropolitana di Seoul dove è stata registrata la scena di Squid Game è ormai diventata meta obbligatoria per moltissimi fan della serie?

064. 신분당선 양재시민의숲역
Yangjae Citizen’s Forest Station (Gangnam-bound platform) – Squid Game filming

Un, due, tre, stella!

Red Light, Green Light / Squid Game Doll | Know Your Meme
La famosa bambola-robot in una scena di Squid Game

Anche chi Squid Game non l’ha proprio visto, saprà di certo che la scena più famosa della serie e contenuta nello stesso trailer è quella del primo gioco, il sanguinario “Un, due, tre, stella!” giocato davanti alla bambola robot la cui voce ormai è inconfondibile. Ma il gioco è proprio uguale alla nostra versione italiana?

Risposta affermativa: le regole sono esattamente le stesse. Viene scelto un giocatore il cui scopo è stare girato con gli occhi chiusi e pronunciare la frase “Un, due, tre, stella!” mentre gli altri devono cercare di avanzare e raggiungerlo senza farsi vedere mentre si stanno muovendo.

L’unica cosa che cambia qui è.. proprio la frase! Infatti la famosissima filastrocca canticchiata dalla bambola non è la traduzione letterale di “Un, due, tre, stella!”, ma bensì significa “Il fiore di ibisco è sbocciato”.

“무궁화 꽃이 피었습니다” (mugunghwa kkochi piotsseumnida)

“Il fiore di ibisco è sbocciato”

A quanto sembra, non ha un significato preciso vista la sua origine incerta, sappiate solo che l’ibisco viene considerato da molti il fiore simbolo della Corea del Sud.

Ma, pensandoci, anche il nostro motto italiano ha delle origini discutibili: anche se ad oggi è di utilizzo comune dire “Un, due, tre, stella!”, sembra che questa frase derivi da quello che una volta era “Un, due, tre, ste’là!”, frase del dialetto piemontese che significherebbe “Un, due, tre, stai là!”! Avrebbe più senso non credete?

La verità è che sebbene il gioco sia praticato in quasi tutto il mondo, ogni Paese ha la sua versione della famosa frase: un’altra ancora è quella dell’inglese “Red light, Green light” (semaforo rosso, semaforo verde).

Curiosità: la bambola di metallo dall’aspetto innocente (ma anche inquietante) che è posta di fronte ai 456 giocatori si rifà ad uno dei personaggi più conosciuti della letteratura per bambini della Corea del Sud, Younghee, il personaggio principale di una serie di libri di testo diffusi negli anni ’70 e ’80 in tutto il Paese.

Copertina di un libro di testo sud coreano con Younghee e il suo amico Chulsoo

Dalgona (달고나) o ppopgi (뽑기)

Quello della seconda prova è il Dalgona (la parola significa letteralmente “dolce”), un dolcetto la cui semplicissima ricetta prevede come unici ingredienti lo zucchero e il bicarbonato: fate sciogliere 2 cucchiai di zucchero in un pentolino, aggiungeteci un pizzico di bicarbonato una volta che vedete il composto diventare dorato ed il gioco è fatto! Colate il composto su carta da forno e imprimeteci una formina a vostra scelta. 

Video YouTube che mostra il processo di realizzazione del Dalgona

Una volta lasciato raffreddare, lo scopo del gioco è proprio quello di riuscire a intagliare con l’aiuto di un ago la forma disegnata senza romperla! Sembra facile vero?
Invece provate per credere, non è affatto semplice! Il composto si rompe davvero facilmente ed è un attimo ritrovarsi in mano pezzi di un Dalgona completamente rotto! Veloce da preparare, fin dagli anni ‘60 il Dalgona (originario della città di Busan) è stato un famosissimo passatempo dei bambini coreani che, usciti da scuola, trovavano per strada signori intenti a prepararli e venderglieli per giocare con gli amici: se il bambino riusciva a rimuovere la forma senza romperla, aveva diritto a un altro Dalgona gratis o a non pagare quello che aveva preso!

Tiro alla fune (줄다리기)

Interpretation of "Squid Game": If the tug-of-war is lost, how can the old  man keep himself alive? - MINNEWS

Un po’ come il gioco dell’ “Un, due, tre, stella!”, il terzo gioco di Squid Game, ovvero il gioco del tiro alla fune, non differisce in alcun modo da quello che siamo abituati a giocare noi in Italia.  

Le regole sono identiche così come la stessa competizione: due squadre composte dallo stesso numero di giocatori si posizionano agli estremi di una fune e tirano finché uno dei due team non riesce a far cadere l’altro, o a tirare tanto da fargli raggiungere e superare la metà della corda. 

Tradizionalmente, in Corea vedeva impiegate corde molto grandi, così da coinvolgere interi villaggi di persone, ed era un modo per promuovere l’unità e la solidarietà della comunità.

Una prova che vede la forza il vero elemento chiave per vincere la sfida ma, se pensavate fosse l’unico, nella serie vediamo come Oh Il-Nam (l’anziano signore che un po’ tutti abbiamo amato) avesse consigliato al suo team una strategia che non tutti conoscono: posizionarsi alternativamente a sinistra e a destra della corda, con le gambe divaricate e inclinati all’indietro con il corpo. Che sia davvero un trucco vincente?

Il gioco delle biglie

The world of 'Squid Game': an architecture of oppression, excess, desire,  and savagery

Il quarto gioco è stato indiscutibilmente luogo di alcune delle scene più strazianti della serie. Ma in cosa consisteva? Ad ogni giocatore è stato consegnato un sacchetto contenente 10 biglie e i partecipanti, divisi in coppie, dovevano scegliere autonomamente un gioco da svolgere con le biglie il cui perdente tra i due sarebbe poi, inevitabilmente, stato ucciso. 

Sono stati molti i giochi che abbiamo visto fare con le biglie, ma sono due quelli che sono stati principalmente i protagonisti del tempo libero dei bambini coreani negli anni ‘70: quello del bomdeulgi (봄들기) e del holjjang (홀짱). Il primo consiste nel lanciare a turno le biglie all’interno di un buco nel terreno e il giocatore che ha più biglie all’interno o vicino al buco vince; mentre il secondo consiste nello scommettere, sempre a turno, le biglie giocando a pari e dispari: gli avversari si giocano un determinato numero di biglie che vince chi riesce a indovinare se il numero che l’opponente tiene in mano è pari o dispari. Il primo che riesce a rubare tutte le biglie, vince.

Il ponte di vetro

The Squid Game: glass bridge was real and caused terror - LatinoMag

Personalmente, questo è stato il mio gioco preferito. Nella serie, vediamo i 16 poveri partecipanti intenti a dover superare un lungo ponte formato da due file di pannelli di vetro, la metà dei quali sotto il loro peso si romperà e li farà cadere nel vuoto. Per raggiungere la fine del percorso, dovranno uno ad uno tentare l’impossibile, ovvero indovinare quale tra il pannello sinistro e quello destro sia quello che li farà proseguire.

Chiaramente questo tra tutti è il gioco meno verosimile, non paragonabile di certo a un vero gioco per l’infanzia. Tuttavia, la sua origine è da attribuirsi al cosiddetto “Fiume di Pietre”, un gioco che vede i bambini tagliare dei fogli di carta e piazzarli a terra cercando di saltare dall’uno all’altro seguendo un percorso definito in precedenza. Chi sbaglia un passo, viene eliminato.

Il gioco del calamaro

Come si vince il "gioco del calamaro" che ha ispirato la serie cult Squid  Game - la Repubblica

Ecco che siamo arrivati all’ultima sfida, il finale di tutti i giochi e quello da cui la serie prende nome: il gioco del calamaro!

Il gioco del calamaro, quello che più ci è sconosciuto, è un altro gioco tradizionale coreano che i bambini erano soliti giocare molti anni fa.

Il gioco ci viene descritto fin da subito come una sfida molto fisica, quasi violenta: i partecipanti sono divisi tra attacco e difesa. All’inizio del gioco, la difesa può correre liberamente all’interno della figura disegnata a terra (che ricorda, per l’appunto, la sagoma di un calamaro) mentre l’attacco, costretto a muoversi all’esterno, può muoversi su una sola gamba. La difesa perderà il vantaggio una volta che la squadra d’attacco riuscirà ad entrare e a farsi strada oltre la metà del calamaro. 

Una volta che l’attacco avrà varcato la soglia, sarà compito della difesa non lasciar arrivare la squadra avversaria alla testa del calamaro, altrimenti avrà perso.

Gli altri giochi della tradizione

Gonggi (공기)

Korean Game: How To Play Gonggi 공기놀이 하는법 - YouTube

Il Gonggi è un gioco molto semplice con cui i bambini coreani si divertivano sin dai tempi dei regni di Corea e consiste nel riuscire a lanciare con la mano un certo numero di pietre e prenderle subito dopo non facendone cadere neanche una.

Un tempo veniva giocato con dei sassi di dimensioni simili, oggi invece vengono venduti dei tappi in plastica realizzati appositamente per il gioco. L’obiettivo è quello di raggiungere un certo numero di “anni”, o punti, che i giocatori decidono tra loro prima dell’inizio del gioco.

Tuho (투호)

Korea.net honorary reporters officially begin their duties : Korea.net :  The official website of the Republic of Korea

Il gioco del Tuho è un gioco che nacque in Cina e si diffuse solo successivamente in Corea ed in Giappone: i giocatori sono divisi in due squadre e devono lanciare, a circa dieci passi di distanza dall’obiettivo, delle frecce all’interno di un contenitore di legno formato da tre fori diversi, ognuno dei quali dà un determinato punteggio al giocatore. A seconda dei punteggi raggiunti, venivano date bevande alcoliche ai vincitori.

Jegichagi (제기차기)

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Il Jegichagi (제기차기) è un gioco di palleggi in cui viene calciato il jegi (제기), un oggetto simile a un volano che non deve mai toccare terra. Si può giocare sia in coppia (chi fa più calci consecutivi vince) sia in gruppo, dove i giocatori si dispongono in cerchio ed il jegi viene passato di persona in persona. Il primo che lo lascia cadere perde, e così via fino a quando non rimane una persona sola.

Quali di questi pensate che potrebbero aggiungere all’interno della seconda stagione?

Ovviamente la trama è tutta da scoprire visto che la serie è solo all’inizio del suo processo di pianificazione ma, nel caso in cui il nostro Gi-Hun dovesse tornare a giocare nuovamente ai famigerati giochi, o dovesse entrare a far parte addirittura di chi muove i meccanismi del gioco e quindi trovarsi dall’altra parte della medaglia, secondo voi quali di questi altri giochi coreani potrebbero essere parte della stagione in uscita? 

E quali, invece, avrebbero giocato i nostri protagonisti se avessimo dovuto scegliere tra giochi italiani?