Mondo Coreano

Squid Game: Una serie tv coreana nelle classifiche italiane su Netflix

Serie tv coreana in seconda posizione nella classifica di Netflix Italia. Perché ha raggiunto questa posizione?

Tra le tante uscite Netflix di settembre 2021, Squid Game, drama di sopravvivenza coreano nato dal progetto di Hwang Dong-hyuk che ha preso forma nel corso degli ultimi 13 anni, era sicuramente una delle proposte più interessanti, questo anche grazie al livello generale delle serie coreane negli ultimi anni, che man mano si stanno facendo strada negli schermi degli spettatori italiani.

 Qual è la particolarità che ha suscitato tutto questo stupore e interesse?   

Non ci troviamo di fronte al tipico K-Drama stile soap né a dei gangster, ma abbiamo la possibilità di assistere ad un vero e proprio gioco al massacro, una lotta alla sopravvivenza che non risparmia nessuno: storia avvincente, personaggi credibili, il tutto scandito da un ritmo frenetico che diventa incalzante con il proseguire della narrazione e una regia molto funzionale! Punto a favore, che sicuramente ha garantito la ben riuscita della serie, è il fatto che non vi siano mondi dispotici o realtà parallele a giustificare i massacri, piuttosto una sorta di voyerismo perverso nel vedere le persone che si uccidono a vicenda, rendendo lo spettatore stesso parte di questo meccanismo, collocato nella realtà in cui viviamo. Altro elemento sicuramente favorevole è stato la scelta della fotografia dai colori saturi e vivaci e dal sensazionale impatto visivo, oltre a simbologie che rendono la serie facilmente riconoscibile.

“Squid Game” (오징어게임) è il nome di un gioco all’aperto molto popolare tra i bambini della Corea del Sud, che utilizza un campo con forme geometriche la cui composizione ricorda un calamaro e le cui regole di gioco sono molto simili a quelle del Kabaddi.

Perché proprio questa scelta e questo richiamo ai giochi dell’infanzia?

Il regista vuole evocare nello spettatore un senso di apparente nostalgia, al quale si aggiunge una caratteristica spaventosa: nel corso dei 9 episodi si scoprirà, però, che non vi è nulla di innocuo nella sfida mortale alla quale Hwang ci invita ad essere spettatori.

Senza lavoro né soldi, costretti a camminare a testa bassa in attesa di una svolta nella sua vita che sembra mai arrivare, queste sono gli elementi che accomunano tutti i protagonisti della serie e Seong Gi-Hun (Lee Jung-jae), il personaggio che abbiamo modo di incontrare sin dall’inizio, rispecchia appieno il profilo appena descritto: è un 47enne sommerso dai debiti, con un matrimonio fallito alle spalle, una figlia della quale ha perso la custodia e una madre gravemente malata, rincorso da usurai a causa della sua ludopatia e i conseguenti debiti di gioco.

Nella disperazione, Gi-Hun trova l’occasione di racimolare dei soldi durante un incontro, non causale, avvenuto in metropolitana con un uomo dall’atteggiamento ambiguo che conosce lo stato in cui versa la vita del protagonista: questi gli offrirà la possibilità di partecipare ad un gioco misterioso dal generoso montepremi al quale acconsentiranno altri 455 soggetti con i più disparati disagi finanziari. Il gioco, però, ben presto si svelerà essere soltanto un esperimento sociale e i concorrenti si accorgeranno che, malgrado le apparenze, non parteciperanno a giochi per bambini ma ad una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

Nonostante la disumanità della vicenda, la serie riserva ampio spazio all’approfondimento dei personaggi principali e questa scelta, in realtà, si rileverà propedeutica a quelli che sono gli obiettivi e le scelte del regista, cioè mirare soprattutto a rimanere in una dimensione il più realistica possibile, quasi come a dimostrare “la banalità del male”, e questo implica che i protagonisti non vengono descritti come eroi o macchine assassine, ma in qualità di persone vere e autentiche, capaci di compiere scelte spietate quanto altre di puro altruismo. Dietro questo sadismo, neanche troppo apparente, troviamo la volontà della regia tutta di mettere sotto i riflettori il tema del divario tra classi e di attaccare le regole alla base del capitalismo moderno, di come vite sfortunate diventino foraggio per l’intrattenimento dei più ricchi (concetto già usato ad esempio in the 100,Battle Royale, Hunger Games) e di come il denaro sia diventato un incentivo tale da costringere gli uomini a compiere scelte folli.

Quali sono gli ingredienti fondamentali che hanno reso questa serie così grandiosa?

Sicuramente la violenza e i giochi che si consumano nell’enorme arena in cui i personaggi sono catapultati, per non parlare delle ambientazioni che ricordano un po’ quelle fantasmagoriche di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, al quale dobbiamo aggiungere l’elemento splatter, anche rimandi a Saw l’enigmista non possono essere evitati. Qualcosa separa Squid Game da tutti gli esempi che possono venirci in mente: la storia è radicata nella realtà, tutti i problemi che spingono i 456 individui a partecipare al gioco nascono nel mondo reale ma soprattutto si tratta di una partecipazione volontaria.

Parlando dei dettagli e rimandi non possiamo far a meno di notare le numerose simbologie che possiamo trovare all’interno della serie, per esempio le forme sul biglietto d’invito potrebbero ricordare i tasti base delle più semplici console di gioco. Il cerchio, il quadrato e il triangolo sono lettere dell’alfabeto coreano, scritte in Hangul, dove per il cerchio si intende la lettera “o”, il triangolo è parte della lettera “j” e il quadrato rappresenta la “m”, dove l’acronimo “OJM” rappresenta le inziali del gioco dei calamari, in coreano “Ojingeo Geim” (오징어게임).

Dietro questi simboli, però, vi poterebbe essere anche un altro significato in quanto il cerchio è simbolo di ciò che non ha inizio né fine, il triangolo rappresenta un valore unificatore, conciliazione di opposti superando un limite, mentre il quadrato è simbolo di stabilità essenziale nella nostra costruzione: complementari e opposti vanno superati e uniti, un richiamo al gioco di squadra che troveremo come costante nei vari episodi.

Importante è anche la rappresentazione simbolica dell’iconica serie di scale, molto simili ai labirinti di Escher, in particolare ad una sicura citazione nella fonte di ispirazione di Escher stesso, cioè Giovanni Battista Piranesi, e alla sua opera “Sedici tavole delle Carceri”, nella quale si evidenziano luoghi di detenzione e pena che portano in luce errori percettivi compiuti dal nostro cervello, che si prestano a diventare da un lato giochi e dall’altro denunciano il crollo della ragione e i rischi basati solo sull’aspetto percettivo.

La ventata di novità risiede nella simpatia che lo spettatore finisce per provare nei confronti del cast principale, che non vorremmo mai vedere soccombere sul campo di gioco, ma anche e soprattutto i continui cambi di rotta in un percorso narrativo che pensavamo di conoscere già a memoria: questi due elementi fanno di Squid Game un prodotto capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo e di stimolare domande, quando la narrazione non va come previsto.

La vera domanda è: alla fine della serie, vi sentirete più vicini ai promotori dei giochi o ai concorrenti? Fatecelo sapere nei commenti!

TITOLO: Squid Game

GENERE: Survival, thriller, splatter

DOVE VEDERLO: Netflix

ANNO: 2021

ATTORI PRINCIPALI: Park Hae Soo (Cho Sang‑woo), Wi Ha Joon (Hwang Jun-ho), Ho Yeon Jung (Kang Sae[1]byeok), Lee Jung-jae (Seong Gi-hun)

N° EPISODI: 9

                         

Exit mobile version